mercoledì 18 febbraio 2015

Io sono colei che viene dalle profondità del bosco...




                            Mélusine 
Le braccia nude circondate d'oro e il broccato frusciante
Del suo abito argenteo con arbusti di biancospino,
Melusina appare tra le piante profumate
I capelli ribelli, sanguigna e lo sguardo vacuo.
Lo splendore del suo collo abbaglia l'occhio
E lo smalto dei suoi denti ha biancore divino.
Ma Melusina è folle ed è negli anfratti
Ai piedi degli abeti che pasce la cerva e il capriolo
Da cento anni ormai erra ai piedi degli alberi fatati
Ella stessa è fata; un fascino strano e dolce
la fa seguire da volpi e lupi a mezzanotte
I suoi occhi nel cielo notturno incantano i gufi
E presso di lei, si ergono in chiari trofei i suoi fiori,
Emerge un gladiolo rosa a foglie di agrifoglio






Melusina è il mio nome e da oggi narrerò di storie e leggende, di mortali ed immortali, del passato e del presente, apprese nel corso della mia lunga vita. Vi condurrò per mano lì dove nacquero dame, cavalieri e figli di ogni era, le cui gesta sciolsero i cuori e animarono le folle, vi farò ascoltare di cantori e menestrelli le cui parole risuonano ancora fino a noi e vi mostrerò i fasti e le disgrazie dei più bei luoghi conosciuti e dimenticati. Prima però lasciate che vi narri la mia di leggenda. Io sono colei che viene dalle acque, la ninfa, fata o se volete sirena o ancora serpente, figlia della fata Pressina e del Re d'Alba. 
Mia madre, come me possedeva il dono dell'immortalità, ma non quello dell'anima, poiché, ahimè, nessuna fata può averne una a meno che prima non si innamori e generi figli.
Ella, ninfa dai capelli corvini e lucenti, un giorno, mentre si rimirava in uno specchio d'acqua, fu a tal punto attratta da un luccichio proveniente dall'altra sponda dello stagno che, non resistendo alla curiosità, si immerse nelle acque e con la sua coda nuotò verso quel brillare. Lì scoprì, disteso all'ombra di un grande salice, un uomo e al suo fianco la sua spada che l'aveva attratta riflettendo i raggi del sole. Lenta gli si avvicinò, e quando questi destatosi dal suo sonno vide mia madre fu immediatamente preso da lei e decise di farla sua.
Pressina non oppose resistenza all'uomo e quando il Re d'Alba la chiese in sposa accettò ad una condizione ovvero che mio padre non la spiasse mai durante il bagno. Fu così che divenne regina e  io e le mie sorelle nascemmo. Ma si sa che gli umani hanno di per sè una natura volubile e una curiosità innata e mio padre scoprì la vera natura della sua consorte poco tempo dopo.
Partimmo lasciandoci tutto alle spalle ed io, Meliora e Palentina crescemmo spensierate nel profondo di un bosco sulla nascosta isola di Avalon ignorando la storia dei nostri genitori fino a quando non fummo abbastanza grandi. Nel momento stesso in cui ci fu narrata giurammo vendetta contro nostro padre per il dolore causato a nostra madre e senza esitare lo punimmo rinchiudendolo in un'alta torre.  Non avremmo mai immaginato che, nonostante tutto, a distanza di anni ella fosse ancora in cuor suo così devota all'uomo che l'aveva tradita. 
Per la mancanza di rispetto verso nostro padre, Pressina ci condannò ad avere code di squame al posto delle gambe ogni sabato.
Ma il destino con me fu ancor più beffardo. 
Proprio io che avevo denigrato le scelte di mia madre e odiato mio padre poco tempo dopo fui vittima del fascino del genere umano. Raymond, questo era il suo nome, lo incontrai in una radura nel folto del bosco un giorno in cui mi ero allontanata dall'isola. 
Mi colpì subito per i suoi modi gentili e il suo aspetto e folle d'amore, immemore di quanto era già accaduto a mia madre e convinta che egli avrebbe rispettato la promessa fatta, ovvero di non entrare nella mia stanza di sabato, lo sposai.


Tutte le creature incantate parteciparono alle nostre nozze offrendoci doni e suonando melodie incantate. Tempo dopo anche Raymond come mio padre ruppe il giuramento ma non fu turbato e lo perdonai. Ma un giorno mentre passavo davanti alle stalle, udii il suo russare così familiare e lo trovai addormentato sulla paglia dove aveva da poco giaciuto con una fanciulla, giovane e graziosa, non bella, ma umana. Lo maledissi, e lui rivelò a tutti cos'ero, un mostro. Dovetti abbandonare i miei figli in fretta e furia, lasciando loro due anelli magici per protezione e rifugiarmi nuovamente qui ad Avalon, l'isola da tutti dimenticata, dove dei, immortali e spiriti vivono nel timore dell'uomo. 
Qui continuo ad apprendere cose nuove attraverso i  numerosi portali dell'isola, eterei specchi d'acqua attraverso cui posso viaggiare per breve tempo e così assistere ai cambiamenti che avvengono nel mondo esterno. Ma  più vi osservo  più penso che davvero molto e davvero poco è cambiato. L'uomo non cambia, nei suoi vizi e virtù, e ormai a causa del suo allontanamento dalla Madre ha smesso di vederci e di credere in noi del "mondo altro".
 Nessuno sa più del piccolo popolo, delle creature che dimoravano nei boschi e nelle radure, che giocavano tra il verde e ballavano tra la cenere dei camini come gli spiritelli delle fiammelle delle candele e neppure si accorgono più del guizzare delle ninfe acquee. 
Col tempo avete creduto che fossimo tutti il prodotto della vostra fantasia e quando riuscite  ad intravedere i più impavidi di noi che ancora tentano di popolare il vostro mondo e di vivere al vostro fianco, ci date la caccia, ci schernite, ci chiamate fantasmi ma, chissà, forse lo siamo davvero non essendo altro che l'eco di tempi lontani, la voce della terra e del vento, dei piccoli animali, delle grandi belve, delle aurore e dei tramonti. 
E mentre l'uomo s'affanna a vagar per la terra noi continuiamo a vivere per essa.
 Ma lasciate che io vi rinfreschi la memoria su questi mondi scomparsi, su ciò che presto sarà ed è già dimenticato.